Beckett
Scott Fields è un chitarrista che definire jazz sarebbe molto riduttivo. La definizione che lui stesso dà della sua musica è “post-free jazz”, ed “exploratory music”. In realtà, il suo maggior riferimento è il sistema tonale di Stephen Dembski, compositore che il chitarrista ha conosciuto nel 1991.
Beckett, album dedicato allo scrittore irlandese, è comunque il suo album più “jazzistico” (virgolette d'obbligo). Sporadicamente infatti (ad esempio in “Come and Go”, oppure al ventesimo minuto di “What Where”) è possibile rinvenirne alcune (poche e brevi) tracce. E sono, questi, i momenti più riusciti dell'album che, nei suoi quasi ottanta minuti, ci appare invece di una noia mortale.
L'album contiene infatti molta ricerca strumentale e timbrica, già difficile da digerire nelle performance dal vivo, ma che qui ci pare anche senza costrutto. Siamo consapevoli che dire queste cose ci fa passare per benpensanti che vogliono solo “muovere il piedino”. Non è così, e non siamo neppure dei fautori dell'Ars Consolatoria. E però non siamo nemmeno dei Tafazzi (Giacomo Tafazzi, personaggio creato da Aldo, Giovanni e Giacomo, che si martella le parti intime). 1 stelle — All About Jazz, Italy